Cambiare il mondo, autorità, responsabilità

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Quale fattore potrebbe cambiare il mondo?
Mi sono fatto più volte questa domanda e più volte da ragazzino, ho pensato che il cambiamento potesse e dovesse venire dall’alto, da delle persone illuminate ai vertici della società, da dei governi illuminati.
Questo può essere sicuramente vero, ma è solo una parte di quello che penso oggi.

Anche per quanto riguarda ciò che di vero ci può essere in un tale infantile pensiero, il punto è:
oggi, abbiamo dei governi illuminati?
Abbiamo dei governi umani che abbiano davvero a cuore il bene dei cittadini?
Io temo di no e il mio non vuole essere un pensiero pessimista. E’ piuttosto un’emozione che ritengo essere frutto di una constatazione piuttosto lucida di fatti ed eventi.

Cosa si può fare allora se dall’alto vi fosse questa mancanza di una guida illuminata?
Ci ho pensato più volte e credo che l’unico cambiamento, è quello che può venire dal basso, dall’individuo, dal singolo.
E’ per questo che mi impegno sempre a dare il mio massimo contributo alle singole persone che incontro e che per lo più, a queste mi rivolgo.

Ritengo che abbiamo bisogno di un mondo di esseri umani liberi interiormente e in contatto con tutte le dimensioni del proprio essere, comprese quelle affettive e spirituali. Con un essere umano in ascolto di sé, tante cose che sono successe e ancora accadono, non sarebbero mai accadute e non potrebbero mai accadere.
Abbiamo bisogno di un mondo in cui l’essere umano sappia dire “no” all’autorità qualora questa facesse richieste palesemente disumane, come quelle del nazismo ad esempio, in cui delle persone, al processo di Norimberga, di fronte ai loro crimini, hanno tentato di giustificare l’esecuzione di stermini affermando: “ho solo eseguito degli ordini”.
Ed era vero che avevano solo eseguito degli ordini.
Avevano fatto solo quello, senza però prendersi però l’inevitabile RESPONSABILITÀ di SCEGLIERE di eseguire degli ordini.

Abbiamo bisogno di persone che non eseguano ordini disumani, che si rifiutino con un’assunzione di responsabilità, perché, come la storia ci insegna, in dei tribunali di istituzioni sovranazionali, una tale cieca e deresponsabilizzante obbedienza, potrebbe non essere sufficiente all’assoluzione, ma anzi, potrebbe essere giustamente condannata da un’altra autorità superiore, come appunto già accaduto, al processo di Norimberga.

Voglio lasciarti con questo emozionante e straordinario testo tratto da Rifkin, buona lettura e buone riflessioni.

Fiandre, sera del 24 dicembre 1914.
La prima guerra mondiale della storia sta entrando nel suo quinto mese.
Milioni di soldati sono rintanati in trincee malamente scavate nelle campagne di mezza Europa.
In molti punti del fronte gli eserciti avversari sono schierati a poche decine di metri di distanza, a portata di voce.
Le condizioni di vita sono infernali: il freddo gela le ossa; le trincee sono allagate; i soldati condividono lo spazio angusto con ratti e parassiti; in mancanza di latrine adeguate, gli escrementi sono sparsi dappertutto; gli uomini dormono in piedi, per evitare di sdraiarsi nel fango putrido dei loro alloggiamenti provvisori; cadaveri dei soldati uccisi rimangono a decomporsi nella “terra di nessuno”, a poche decine di metri dai compagni sopravvissuti, che non possono recuperarli e dar loro dignitosa sepoltura.

Mentre le tenebre calano sul campo di battaglia, accade qualcosa di straordinario.
I soldati tedeschi accendono le candele sulla migliaia di minuscoli alberi di Natale che sono stati inviati al fronte per offrire conforto ai combattenti, e cominciano a cantare i canti di Natale: per primo, Astro del ciel, poi molti altri.
I soldati inglesi sono sbigottiti: uno di loro, affacciatosi oltre il bordo della trincea, dice che le linee nemiche illuminate sembrano “le luci della ribalta di un teatro”.
E rispondono con un applauso, dapprima timido, poi sempre più scrosciante.
Poi cominciano a intonare le proprie carole come replica ai canti dei nemici tedeschi, che li applaudono a loro volta.
Alcuni uomini di entrambi gli schieramenti sgusciano fuori dalle trincee e attraversano la terra di nessuno, avvicinandosi al nemico. Centinaia li seguono.
La voce si diffonde per tutto il fronte, e migliaia di uomini escono dalle trincee.
Si scambiano strette di mano, sigarette, dolci. Si mostrano l’un l’altro le foto dei propri cari. Si raccontano dei luoghi da dove vengono, ricordano i Natali passati. Si scambiano battute sull’assurdità della guerra.

La mattina dopo, quando il sole natalizio sorge sui campi di battaglia europei, decine di migliaia di uomini (secondo alcuni, addirittura centomila) stanno conversando tranquillamente fra loro. Solo ventiquattr’ore prima erano nemici, ora sia aiutano a seppellire i compagni caduti.
Le cronache del tempo registrarono anche numerosi incontri di calcio improvvisati.
Perfino gli ufficiali di prima linea parteciparono all’evento, ma quando la notizia giunse agli alti comandi nelle retrovie i generali assunsero una posizione assai meno tollerante.
Temendo che quell’atmosfera natalizia potesse minare la voglia di combattere dei loro sottoposti, posero immediati provvedimenti per far rientrare le truppe nei ranghi.
Così, la surreale “tregua natalizia” finì improvvisamente com’era cominciata.
Certo, non fu che un battito di ciglia in una guerra che si sarebbe conclusa quattro anni dopo, nel novembre 1918, e che sarebbe costata 8 milioni e mezzo di morti fra i soli militari, passando agli annali come la più grande carneficina della storia, almeno fino a quel momento.

Ma per poche, brevi ore, non più di un giorno, decine di migliaia di soldati uscirono dai ranghi, spezzando non solo al catena di comando ma anche i vincoli di fedeltà alla patria, e dimostrando di essere, innanzitutto, uomini.

Nel bel mezzo del terrore e dei massacri, fecero un coraggioso passo indietro rispetto ai propri obblighi istituzionali, per esprimersi a vicenda un sentimento di compassione e onorare la vita altrui.” – “La civiltà dell’empatia”, Rifkin.

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