Una bella candela.
Ho una candela a cui sono molto affezionato, così affezionato che la conservavo da diversi anni.
Oggi la ritrovo in una zona buia e anche un po’ disordinata della casa e così la osservo, sento le emozioni sottili e piacevoli che mi suscita e dopo un po’ si affaccia dentro di me anche un po’ di dispiacere.
Resto un po’ sorpreso per questa emozione e così gli chiedo? E tu che c’entri?
Questo piccolo dispiacere mi conduce a riflettere sulla polarità vita-morte e su quanto queste siano collegate, intrinsecamente connesse e interdipendenti.
Infatti con il mio non voler accettare la morte metaforica della candela, la stavo privando anche della sua stessa vita, della sua funzione più specifica e caratterizzante che la contraddistingue da tutti gli altri oggetti: accendersi e fare luce.
L’accettazione del limite, della morte, della finitudine, apre la porta ad altre dimensioni dell’essere, dimensioni che altrimenti rimarrebbero nell’ombra e che soprattutto, contengono in sé l’espressione e la manifestazione della vita.
La differenza tra un semplice oggetto e una candela che illumina, tra un’esistenza piena e una limitata, passa anche da qui: accettare la morte.
Quante volte ci limitiamo ad esistere come semplici oggetti per paura di perdere qualcosa, per paura di morire?